(Scritto breve prodotto durante l’incontro di giorno 16 marzo 2016 di CartaCanta, circolo di scrittura estemporanea di Mistero Buffo di Acireale – sito di CartaCanta)
La prima volta che entrai in uno specchio pioveva. Era un martedì di fine settembre e tutto era fermo. Come la mia vita. La luce riflessa premeva sulla superficie dei miei occhi, avara di emozioni. Pioveva. Ancora una volta.
Passare attraverso uno specchio non era la mia vera intenzione, io volevo eliminare tutto dalla mia vita, anche l’immagine riflessa che sostava lì davanti a me. Inutile e sbiadita, ferma come tutto era fermo. Avrei potuto allontanarmi dallo specchio o voltarlo, coprirlo con un telo ruvido, lercio. Ma non era lo specchio che volevo eliminare, volevo proprio togliere quell’immagine penosa, farne brandelli da dare in pasto ai cani.
Mentre mi avvicinavo allo specchio non potevo che guardare il mio viso dall’altro lato. Pallido e ispido, del tutto inespressivo, amorfo, come una diga che sta per crollare, antica di una antichità per nulla preziosa.
Pioveva. Pioveva tra gli occhi che si ingrandivano, sentivo le gocce scivolare tra le scelte che avevo scelto e mi odiavo, non potevo sopportare quel viso in vita, eppure mi fissava come un animale che ha scelto di morire. Avrei potuto voltarmi e volgere le spalle allo specchio, conservare il mio viso dalle ombre del mondo riflesso, ma avrei solo ingannato me stesso. Dovevo solo eliminare quell’immagine.
Entrare in uno specchio è solo un attimo, è come virare in piscina, le gambe unite e una spinta per tornare indietro, è legare il tempo alle caviglie e slegarlo dopo un passo, è una chiusura d’occhi all’incontrario. Il mondo è lo stesso, ribaltato, simmetrico, la destra è sinistra ma gli occhi sono sempre due. E i respiri, lì dall’altra parte dello specchio sono regolari, di aria stanca e sofferta, i polmoni sono due, le lacrime vanno sempre giù.
Sono diventato la mia immagine eppure nulla è cambiato, una vita senza verso che si agita a due passi dal reale, che insulta il domani che non muore e lacera le parole che muoiono ancor prima di cadere. Ho girato il capo per capire l’incomprensibile, inutilmente. Sono dall’altro lato della mia vita, specchio di uno specchio che inganna e ricopia, poco o nulla si scuote dentro quest’anima senza dimora.
Se guardo lo specchio vedo la realtà indifferente e il mio viso reale, sempre pallido e ispido, penso che non basti ribaltare ciò che vive per non vivere e che stare da questa parte o dall’altra non è una scelta di vita, è solo una scelta di nulla, un respiro che si somma ad altri respiri che non portano a nulla. Così sono stato ad osservare la realtà dall’altra parte dello specchio e mi sono sentito reale come falso credevo quel corpo che accendeva una luce, che sceglieva la camicia seguendo la linea dei bottoni con gli occhi che entravano dentro me, e ho odiato quella superficie trasparente che rende opaca ogni scelta, ogni mossa, che segue indifferente ogni scelta, ogni mossa ma che non sceglie, non si muove.
La prima volta che sono entrato in uno specchio pioveva e la pioggia sbatteva sui canali scivolosi, a sentirla non sembrava cosa vera, un rumore da cinema, costruito ad arte come effetto sonoro, pioveva dappertutto, fin dentro lo specchio. Fin dentro me. Me la son portata dentro quella pioggia e ho attraversato lo specchio con le lacrime che piovevano e sbattevano sui pensieri scivolosi.
Adesso entro dentro gli specchi raramente, ho compreso che quell’immagine pallida e ispida che trovo al mattino non è cosa altra da me, è solo un me che non sa dove stare e mi osserva annoiato mentre la pioggia continua a cadergli addosso, accanto, dentro.
[18 mar 2016]