Stanchezza

Cosí giunge la stanchezza, con lentezza.

Non stride, non rumoreggia, non graffia, ha movenze silenziose e si appoggia ai pensieri. Mi rende pesante.

Mi ritrovo cosí, gravido di noie, in un tempo non piú mio e mi osservo come spettatore senza allegria. L’aula scolastica, gli occhi affamati dei ragazzi, il gesto che indugia su una firma sguaiata, la lavagna illuminata e vuota. È una stanchezza che ricerca le parole usate da usare ancora, che non inventa e non gioca, che ride di battute solite per non crollare, che non comprende piú lo spazio bianco tra quegli occhi affamati e i miei gesti che ripetono, stancamente, tutta la mia stanchezza.

Mi capita cosí di rimanere seduto e di chiudere gli occhi. Pochi attimi. Il tempo di soffiarmi dentro e svanire per confondere la stanchezza. Assecondarla lí, tra quel pensare arrugginito e l’idea di voler essere altrove, governarla nel buio dei gesti fermi, dei vuoti già svuotati, sedurla con la carezza di pochi attimi di inesistenza.

Riemergo per alzarmi, per sorridere a quegli occhi affamati, per costruire ancora una volta un sapere che non muore, per ricondurmi a me, per ordinare i miei pensieri dietro il tratto colorato e inconsapevole su una lavagna illuminata e non più vuota

Non stride, non rumoreggia, non graffia, ha movenze silenziose e si appoggia ai pensieri. È una stanchezza acerba ma già stanca, incapace di capirsi, con due occhi guardinghi di gatto e l’intenzione di ripiegare il ripiegabile e di allontanare l’allontanabile. Appoggiata al mio pensare, frena i movimenti, accartoccia i desideri, appesantisce il vivere. Mi fa sedere. Tocca a me rialzarmi, incunearmi contro l’istinto di rimanere seduto.

Anche se stanco.

[17 apr 2015]

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