Conosco questo freddo. Sono brividi in sequenza incostante, di una lievità di neve, adulti. Mi prende alla braccia e sulla nuca e poi giù a scivolare come gocce dai rami, una mano fredda sulla testa, il tremore che riconduce ad altri tremori, incostante, innevato, adulto.
Non eri distante da me, una passeggiata appena di sguardi, sembravi distratta eppure avevi un moto d’occhi per ogni parola detta o per ogni gesto creato, con un dito governavi il display e non eri affatto distante da me. Seguivo io il tuo gesto sul display, una catena di traiettorie che aveva inizio dalle tue intenzioni e termine nei miei desideri. Conoscevo bene quel freddo.
Da noi nevica raramente e tornare a casa sotto una blanda tormenta di neve era solo un gioco, un gioco dell’anima, erano passi stretti e giubbotto caldo, il cappuccio bagnato, gelido, e il caos bianco davanti a me, i miei pochi anni senza memoria di nevicate e la sensazione della tua mano calda che avevo lasciato da poco, un bacio d’occhi e la promessa di vedersi l’indomani con la neve nostra inaspettata compagna. Ed era freddo il ritorno a casa, a piedi e in salita, era fredda la solitudine inconstante e non ancora adulta ed innevata.
Prendiamo il tè come vecchi amici che non hanno nulla in più da dire e la voglia di dirsi ancora tante cose, che hanno svuotato il tempo e spolverato il tempo passato, che sanno sedersi l’uno accanto all’altra per racimolare le noie dell’altro e odorare la morte, che scelgono il tè giusto per non dimenticare come si fa a scegliere. E il tè è quello giusto, caldo e con il miele, come un ritorno a casa in agosto dopo una giornata di sole, i passi lunghi e la maglietta sudata, e il caos azzurro di un cielo troppo lontano da addomesticare.
Per dimenticare il freddo non basterà il tè né il tuo racconto di un quotidiano sempre più stretto, non sarà sufficiente il mio sorriso a mezz’asta né il berretto impermeabile. Il freddo mi consuma dentro, tra i vuoti dell’anima e i giochi chimici dell’esistenza ordinaria, s’imbeve di scelte amputate e dei giorni bianchi della solitudine innevata, il freddo si consuma dentro come bombola di gas, sempre più vuota, un volume costante che non sa che farsene della propria costanza. Il freddo l’ho raccolto come zollette da sciogliere, un quanto di freddo alla volta, nelle giornate estive che non ti hanno visto e nei viaggi inventati che navigano ancora da qualche parte, nelle lunghe ore ad attendere un turno e negli interstizi delle mie intenzioni, tra le ragnatele e la polvere di un eterno discorso mai pronunciato.
Eppure non sei distante e muovi il dito sul display come a seguire una trama che tu sola conosci e mi racconti dei tuoi passi sotterranei e delle scelte da fare, un camino da realizzare, il tè da comprare, il libro da leggere, la bombola da cambiare. E non è distante il freddo, poca misura tra il brivido e la pelle, tra le ossa assopite e la mano sulla testa, tra la neve che scende caotica e il mio viso coperto da un berretto di lana ghiacciato.
E’ un freddo ben noto, lieve come la neve, incostante come te, adulto dentro me.