Era il tuo sound, così dicevi, il rumore della tua anima. Con una mano nei capelli e gli occhi socchiusi ti perdevi non so dove, il capo a seguire la base ritmica e la mente capovolta, dondolante.
Avrai un sound anche tu, no? Quel “no” a chiudere ogni frase, ogni domanda vuota che non attendeva nulla. Sì anche la mia anima fa rumore, ti dicevo. I Massive Attack cominciavano un nuovo brano, Protection, e ti perdevo nuovamente.
Io non ho storie da raccontare, solo suoni da ascoltare e da riferire, lucchetti da aprire, occhi perduti e un po’ di cibo in frigo, lo stereo sempre acceso e una pioggia insistente che viene da lontano. Smetterà prima o poi di piovere, no? Si ingoia l’attesa e si spolvera casa, apro un libro nascosto da tempo e leggo una pagina. L’uomo-pecora che viene da oriente. Rimetto al suo posto il libro come se un libro possa avere un posto, una collocazione, come se la pioggia potesse andarsene lontano, da sola.
La voce roca arriva dallo stereo acceso e si attorciglia dentro me, è parte del mio sound, no? ed io spolvero ricucendo il nitore dell’esistenza, sposto la polvere che non muore.
Parlavi lentamente a lei, in spiaggia. Ascoltavo entrambe, il mare accanto ed io più in disparte. Parlavi di me. Lei ribatteva qualcosa, di tanto in tanto, mi adocchiava e non sorrideva. Parlavi per me mentre il mare mescolava i suoni delle tue frasi, la luce quasi ferma, incapace di scomparire oltre il giorno, la sera già annoiata. Non c’era pioggia, non c’era polvere, il sound di un mare complice e noi tre sotto una luce confusa. Parlavi di te mentre lei ti stava a ascoltare ed io ti leggevo aprendo una pagina qua e una là, il tuo uomo-pecora nascosto che attende solo te.
Sposto la chitarra e osservo il dorso dei libri, vorrei disporli diversamente disordinandoli con rigore scientifico. Poi mi fermo davanti all’ossimoro e riascolto dall’inizio il brano di Tom Waits. Premi un pulsante e ricomincia nuovamente, è inquietante, no? Tornare indietro come se nulla fosse accaduto, riordinare il dorso delle vite per arginare la polvere, la pioggia, il vento di una entropia esistenziale che ci spinge con rigore casuale.
Non ho storie da narrare, leggo libri per ricavarne qualcosa e per togliere la polvere che si accumula nei ricordi, sposto l’esistenza come se fosse un’incombenza da nulla ripurirla, sistemarne le pieghe e lasciarla lì, bene in vista, nitida e pulita. Ognuno è libero di fare quello che vuole, no? anche di riempirla di fango e di muffe, di lasciare che le ragnatele ne invadano i luoghi scuri, o di mostrare agli altri ciò che desiderano vedere e morire di altra vita.
Non riesco a superare il brano di Tom Waits, un loop che incarto con ricordi e libri aperti. Premo il tasto rewind. La luce scivola via come bava di lumaca, il mare s’immerge nel buio, tu hai smesso di parlare, lei non sa cosa dire, ha realizzato che non mi conosce. Aggrappato al mio sound acerbo mi alzo, mi accosto a te, ti bacio.
Play. Jersey girl… sha la la la la la la.