Concerto jazz

Clara era scesa da quel volo senza mai poggiare le parole dette sulla scala d’uscita, con lo sguardo fermo e le ali ripiegate aveva ripreso il bagaglio e si era incamminata senza la risposta che cercava. Un volo inutile, a prima vista. Lui, da qualche altra parte, non ne sapeva nulla.
Adesso le toccava rimuovere la sabbia dai balconi e gettare gli sguardi nell’umido, da sola, come se fosse invecchiata tutt’a un tratto.
Ventiquattro anni e un mondo da smontare e rimontare, le istruzioni ingiallite da tempo e chiuse in un cassetto dimenticato.
Avrebbe voluto annullarsi, dimenticare di essere stata, di esserci stata.
Lui, da qualche altra parte, aveva saputo farlo, dimenticare e annullarla.

La piazza era gremita di gente quella sera. C’era il concerto di un trio dai nomi importanti, jazz divertente e divertirto e c’erano visi quasi dimenticati, avvolti dalla sera e dalle solite solitudini, c’era l’amico appena ritornato da un viaggio di intimità racchiuse, c’erano mani che indicavano altre mani raccolte in tasche d’emergenza, c’era caldo quella sera, c’erano i sudori di chi non sa fuggire, le frasi già dette sulle temperature raggiunte e le frasi già sentite sugli anni a venire, c’era la luce dei faretti sulla Cattedrale e il buio del cielo estivo. E c’era Clara.

Appoggiato al muro e con quattro amici accanto lui discuteva di calcio, un calcio inventato e rumoroso, come se di calcio vero non ce ne fosse già abbastanza. Non aveva molto tempo, prima che iniziasse il concerto doveva andare. Una nuova storia d’amore, un amore inventato e rumoroso, come se di amore non ne avesse già avuto abbastanza.

Clara conosceva quei volti e li evitava, la piazza si restringeva ai suoi occhi e le vie di fuga svanivano, qualche nota per accordare gli strumenti e il sorriso di Eleonora come a dire sei fra amici. Bisognava dimenticare baci, carezze e complicità, bisognava farlo qui a terra che in volo era difficile, in volo con l’odore di lui come miele da spalmare, bisognava torcere i ricordi, strizzarli e lasciarli secchi e aridi, darli in pasto ai gatti randagi, bisognava essiccare lacrime e sorrisi e lasciarli tra le cose morte, inabitabili, desertificate. Clara conosceva quei luoghi e li evitava, le persone si restringevano ai suoi occhi e svanivano come le vie di fuga. Il dolore non ha nome, un punteruolo in mano al nemico, un atterraggio d’emergenza tra lame e urla e tagli e acqua alla gola, il livido dei suoi baci falsi, lo scheletro delle sue dita a forma di cuore.

Appoggiato allo sportello dell’auto e con quattro messaggi al telefono lui discuteva di serate a venire e di un nuovo amore, parole prese in prestito dall’ultimo volo, il biglietto pronto da tempo e la fotocamera del telefono pronta a scattare. Durerà se durerà, l’obiettivo della telecamera riconosce la forma dei volti ma non i volti, l’importante è essere in due, io e tu, mio grande amore, bellissima, amore unico, cuori e baci, che li vedano tutti, io e te, mio nuovo grande amore.

Tra i brani del jazz e le mura della Cattedrale centinaia di occhi zitti e attenti come scolari di una scuola primaria e quel dolore beffardo che rovistava dentro i pensieri di Clara. Note jazzate e ferite aperte. Bisognava dimenticare ma tutto era lì, un grumo di rancore rappreso, risentimenti taglienti, umiliazioni graffianti, dimenticare per avere altra musica e altri occhi, per stare in volo, altrove, comunque. Le note del jazz si muovevano senza tregua e lui era lì, appoggiato ai ricordi e al portone di lei, intatto ma privo di luce propria. Bisognava dimenticare e nient’altro, far evaporare il suo volto, i suoi voli. Le note del jazz squarciavano il buio e il cielo. Dimenticare le parole, le dita, gli scheletri. La voce del sax aperta e limpida come un colpo in faccia, i colpi della batteria, lui senza più messaggi, lontano, in dissolvenza, il jazz sugli occhi zitti e quel dolore che cercava dove rovistare. Il concerto volgeva alla fine.

Poi, improvvisa, una nota sorniona o un paio d’occhi che guardano altro, un’asimmetria d’intenti, un suono confuso nel buio, qualcosa che blocca il rovistare. Clara se ne accorse e sorrise.
Lui da qualche altra parte con quattro paure lì in alto, e i ricordi che si dissolvevano come si dissolvono le frasi già usate e i cuori e i baci, lui senza più nome da tempo e senza volto, assorto nel vuoto di un apparire sereno, lui senza più dita e senza più sorrisi, acerbo come i suoi nuovi amori a perdere. Clara se ne accorgeva e sorrideva, il jazz intrecciato al cielo suonava la sua danza e la piazza era ancora piena. Lui in piedi da qualche altra parte, irriconoscibile e dimenticato, senza posto a sedere e Clara lì vicino, irriconosciuta e indimenticabile, con il sorriso negli occhi e un nuovo volo d’aquila per quattro note di jazz.

Clara, sola stasera? Lui dov’è?
La voce, improvvisa, come un insetto curioso.
Lui chi?

Il jazz sorrise la sua ultima nota, la piazza esplose in un lungo applauso.

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